Deve essere risarcito il danno da omessa diagnosi che accelera la morte del paziente, determinando la perdita della possibilità di vivere settimane o mesi ulteriori rispetto a quelli effettivamente vissuti.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 16919/2018, sul caso di un uomo deceduto a causa di un infarto acuto diagnosticato come semplice nevralgia.
Ha chiarito la Suprema Corte che “la chance, in tale caso, rileva non come danno-conseguenza ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.,ma come danno-evento“.Non è corretto parlare in casi simili di semplice perdita di chance perché il danno deriva non dal mancato conseguimento di qualcosa ma dalla “perdita di qualcosa che il soggetto già aveva e di cui avrebbe certamente fruito ove non fosse intervenuta l’imperizia del sanitario”.
Il nesso di causalità non deve essere relazionato all’ evento morte in sé e per sé ma deve essere connesso con la perdita del periodo di sopravvivenza del malato, per andare poi a valutare il pregiudizio patito dal danneggiato, privato della sopravvivenza seppure per un periodo limitato.